
Nelle case e nelle edicole è arrivato il Corriere Apuano. Ecco, come tutti gli anni, l'articolo a commento del falò.
Ennesima apoteosi del falò di San Geminiano
Ennesima apoteosi del falò di San Geminiano
Quando il paradosso diventa poesia
Ci sono momenti in cui ti domandi se quello che ti sei costruito dentro in termini di esperienze di vita possa ancora metterti di fronte al dilemma se esista una verità assoluta, oppure se quello che appare, vero o falso che sia, possa ancora sorprenderti.
Una domanda assurda, fatta crogiolare nella mente mentre le ultime lingue di fuoco dell’immane falò di San Geminiano sembravano giocare con i lugubri pali di sostegno, lambendoli delicatamente dopo un lunghissimo frangente di violenza incontrollata.
Inutile pretendere una risposta perché impossibile, mentre cresceva l’idea di avere assistito a qualcosa di paradossale, nell’accezione prima della straordinarietà, poi dell’assurdo, infine dell’illogico; comunque, se la poesia è paradosso, ad un evento integralmente poetico.
Tutto aveva assunto i toni della lirica più struggente, la folla assiepata all’inverosimile in tutti i posti possibili, compresa in un silenzio assordante, i riti consueti gestiti con la grazia della danza, l’esplosione delle fiamme, superbe, incontenibili, voraci a catturare l’occhio, costretto ineluttabilmente a salire verso l’alto, impossibilitato a staccarsi dal gioco delle lingue roventi che si perdevano in un infinito ora decorato da un altro gioco di stelle.
La realtà recuperata lentamente grazie al frastuono impercettibile dei cori di parte, lontana, assurdamente lontana, perché volutamente tenuta distante per non interrompere un coinvolgimento pànico, da gestire nei suoi risvolti più intimi, come momento di sgomento e di piacere infinito, da cullare per un frangente il più lungo possibile.
Mistero della poesia, capace di farti dimenticare quanto sofferto nel preludio, le ansie dell’imprevedibile, un presente da valutare ora dopo ora, per farti capire che, alla fine, esiste una giustizia naturale che non vuole imporre differenze, che pretende, però, di esaltarsi solo se quanto gli viene donato darà il risultato atteso.
Il risveglio, umidi gli occhi per una commozione istintiva, per recuperare, goduto, un senso di riconoscenza per le ombre sconosciute piroettanti in un gioco di osanna intorno ai rimasugli della pira, astiosamente impegnati a non perdere forza, a dimostrare che il connubio con chi aveva provocato tanto spettacolo doveva continuare ben oltre le sensazioni provocate.
Cosa avanzi di questo non è facile dire, certo, il desiderio che tutto questo possa continuare nel tempo, dimentico delle ineludibili difficoltà, indifferente alle forzature di parte, perché, una volta di più, dall’amplesso rovente della pira è tornata ad emergere l’anima più vera di Pontremoli, quella che sa dare significato ad ogni sacrificio, comunque compiuto.
Ma, questo forse è il vero paradosso, comunque inteso, da coltivare perché mantenga intatto nel tempo il senso più vero della poesia. (l.b.)
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