martedì 10 novembre 2009

Nuove ipotesi sulle origini del falò


Dall'Almanacco Pontremolese 2001

Luciano Bertocchi
(che ringraziamo per la disponibilità)

Nuove ipotesi sulle origini della tradizione

E’ difficile pensare che sia solo la forza della tradizione a portare ogni anno una marea di pontremolesi, in ben due occasioni, ad assieparsi alle spalline di un ponte, normalmente in condizioni climatiche proibitive, per assistere alla consumazione del rito del falò.
Né basta a giustificarne la presenza il dualismo parrocchiale, cui in pratica fanno riferimento le due manifestazioni, perché il coinvolgimento investe tutta la popolazione di Pontremoli ed i supporters delle due fazioni, in ogni occasione, fanno fatica a rendersi visibili, riuscendovi in parte solo grazie al frastuono di cori di dileggio.
C’è qualcosa di diverso a provocare il richiamo impellente, qualcosa di indefinito, o meglio di inqualificabile, che ogni pontremolese sembra avere nel sangue fino a renderlo incapace di rinunciare all’appuntamento, al di là delle garanzie che possono venire dallo spettacolo, in forza appunto dei rischi sottintesi alla stagione.
Farsene una ragione, almeno da pontremolesi, o tentare una spiegazione rischia di diventare pretestuoso e, sotto certi aspetti, presuntuoso, ma merita provarci.
Intanto, pesa la questione delle origini. Un conto è essere di San Niccolò o di San Geminiano ed allora le giustificanti si possono rinviare a qualcosa di innato, che ognuno si trova dentro al momento della nascita, una specie di cibo virtuale che ognuna gusta crescendo nel rapporto con i familiari, gli amici, il borgo, la chiesa, il fiume e tutte le altre ritualità correnti che contribuiscono a fare lievitare l’istinto di essere da questa o da quella parte, senza possibilità di scelta o di rinuncia.
Ma, forse non basta per riuscire a capire, perché la differenza tra l’essere del Vaticano o di San Geminiano sembra manifestarsi in qualcosa di più concreto, riconoscibile nei comportamenti, negli atteggiamenti, nelle convinzioni, nelle scelte di fondo, come se il condizionamento avesse in sé un’interferenza di natura storica, ascrivibile a chissà quale retaggio, addirittura non identificabile neppure negli antichi dualismi tra guelfi e ghibellini, se è vero, come è vero, che, di fatto, le due parrocchie, gravitano entrambe sull’antica area guelfa.
Sembrerebbe qualcosa di più antico, rinviabile a ben prima delle origini del borgo, quando, secondo la tradizione, gli abitanti dei paesi scesero a fondare la futura città nell’area strategica alla confluenza tra Magra e Verde, convinti che l’unione delle forze avrebbe dato maggiore sostanza alla loro influenza politica legata al controllo degli antichi passi, portandosi dietro, però, tutte quelle conflittualità che neppure oggi si sono sfumate e quelle pratiche tribali, legate alla mistica della sussistenza, per le quali il sacrificio più evidente meglio convogliava i favori delle antiche divinità ancestrali, mai veramente abiurate.
Tanto direbbero l’evidente legame alle pratiche contadine della pulizia dei boschi e dei coltivi, ispirate alla scelta di sterpaglie di qualità, capaci di produrre fiamme di certificata efficacia; la magniloquenza delle pire, atte ad elevarsi oltre il possibile verso il cielo, per inviare un segnale il più chiaramente avvertibile; le gestualità quasi scaramantiche dell’accensione di gruppo, ad attivare una fiamma omogenea, destinata a lanciare alle stelle una voce prorompente nel crepitio delle fiamme e nel vortice delle faville.
Qualcosa di magico e di condiviso, non sappiamo quanto consapevolmente, perché nessuno dei due contendenti osa rinunciarvi, adagiandosi nella ripetizione dei gesti, convinto che solo in quel modo, anche oggi, il rito sia soddisfatto nel modo più giusto.
Una diatriba, quindi, da collegare all’idea del favore, magari di una divinità dei fiumi, che tanta importanza assumeva nella vita e nelle certezze del borgo, ognuno voglioso di averla dalla propria parte, forse anche per scongiurare i timori delle bizzarrie stagionali.
Essere, di contro, delle altre parrocchie e dei paesi circostanti, ed adeguarsi a seguire le vicende del contrasto, soprattutto in chiave satirica per i malcapitati perdenti, trova una maggiore giustificante, però in una lettura storica più recente.
La primazia originante degli abitanti l’antico borgo guelfo, cui si ascrive la paternità della fondazione di Pontremoli, ha sempre suscitato una larvata antipatia per gli abitanti delle altre parrocchie, discendenti inconsapevoli degli antichi “mercatores”, costretti dalla consuetudine a gestirsi all’esterno della cinta muraria, padroni dell’antico “portus”, quindi, parte integrante del sistema economico del borgo, ma privi dell’ascendente dei fondatori e, perciò, del bagaglio tradizionale.
L’impronta ghibellina, segnata da un marchio laicale difficile da rimuovere, si trascina dietro l’idea del dileggio, della ricerca del pelo nell’uovo, nel desiderio di studiare le mosse dell’avversario per trovarvi i possibili errori e poi indulgere nello sfottimento. La posizione di chi, totalmente disimpegnato dallo sforzo organizzativo, gode nel gustare le fatiche altrui, per adagiarsi poi alla critica più sottile, ed ergersi a giudice spietato, pronto ad inveire soprattutto contro il perdente. Con la certezza, comunque, che, qualunque sia l’esito della contesa, l’acredine troverà sfogo nei confronti degli antichi nemici, finalmente contrapposti al loro interno e perciò necessariamente aggredibili.
Quanto basta, a nostro avviso, per dare un significato importante all’affezione che ogni anno destiniamo al rito dei falò, pur senza sapere veramente il motivo di tanto interesse.
Tanto, almeno, crediamo, ribadendo però che le spiegazioni proposte sono certo frutto di una presunzione intenzionale, tipica di chi, di fronte alla costante virulenza della diatriba, si atteggia a sorriderne alla ricerca di sempre nuovi motivi per acuire il contrasto, con il chiaro scopo di eccitare gli animi e di evitare che la tradizione vada a morire, privandoci di uno dei più grandi piaceri della nostra vita cittadina, cui davvero non vorremmo rinunciare.

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