martedì 8 settembre 2009

Le cronache del Corriere Apuano: 2006

Dopo i timori di forfait per l’abbondante nevicata
Uno splendido falò di San Geminiano illumina il cielo stellato


Ci sono momenti in cui anche chi è solito abusare delle parole giunge a rendersi conto che proprio le parole possono mancare per esprimere appieno quanto ribolle dentro. Troppi i dubbi, troppe le perplessità, troppe le angosce dettate da quanto ha preceduto il momento solenne dell’accensione del falò di San Geminiano, da fare temere che proprio all’ultimo momento potesse succedere qualcosa di irreparabile.
Tutto, infatti, nei giorni precedenti sembrava remare al contrario: un’imponente nevicata, tale da scoraggiare anche il più eroico dei fuochisti e, dopo, una pioggia perfida e sottile che sembrava allontanare ogni possibilità di raggiungere i depositi di fascine tanto gelosamente custoditi, al punto da fare pensare ad una rinuncia mortificante. Al momento opportuno, invece, alla faccia dei più perfidi menagramo, una giornata impensabile che ha fatto ritrovare entusiasmi quasi sopiti e la voglia incredibile di costruire qualcosa di indimenticabile.
Il resto è solo cronaca esaltante, per la quale trovare le parole è solo uno scherzo. La pira che sale compatta nel sole ad altezze impensate, la sera che scende sul Verde preparando un cielo che è tutto una stella, la folla che, dopo il solenne pontificale una volta di più tirato all’eccesso, si accalca in tutti gli spazi liberi all’intorno e, infine, il gesto solenne dei tanti fuochisti che, all’unisono, pungolano violenti la catasta per indurla a sprigionare l’immane fiammata liberatoria.
Le immagini a seguire sanno solo di tripudio, incredibile ed inesausto, a condire momenti nei quali una ridda di sensazioni si sprigiona insieme alle fiamme incontrollate che tagliano il cielo e fanno svanire nella luce, che rompe anche le ombre più profonde, tutti i timori ancestrali. Il coinvolgimento è totale ed assorbe anche i toni arroganti dei cori di parte, voluti e goduti come esige il rito, e l’occhio resta incollato alla fiamma che sale imperiosa, libera di qualsiasi macchia di fumo, a dare un significato ancora più solenne alla festa dei cuori.
Il ritorno al presente, dopo un lungo frangente, recupera l’esigenza del confronto con l’evento della controparte, ma tornano a mancare le parole perché quanto ci è rimasto dentro induce a rinunciare per una volta alle logiche dell’appartenenza per gustare appieno la miriade di sensazioni comunque donate. Troppa la gioia offerta dall’uno e dall’altro dei falò, nonostante gli imprevisti, troppa la gratitudine per l’uno e l’altro gruppo per avere regalato alla città, in un ennesimo slancio volontario ed impagabile, due spettacoli a loro modo unici e forse, ma lo diciamo ogni anno, irripetibili.
Allora, torna ad urgere la domanda di sempre, se cioè Pontremoli sia veramente consapevole di cosa si muove veramente dietro questi due importanti appuntamenti rituali, le rinunce, la dedizione, il sacrificio, l’abnegazione, la costanza di due nutrite pattuglie di giovani e meno giovani che, nel più totale disinteresse, lottano e soffrono per garantire un impegno che nessuno gli ha affidato, ma per il quale si scatena una gara di partecipazione che non ha altro premio se non quello di tenere viva una tradizione senza tempo, che è imperativo non lasciare finire. La risposta non ci compete, ma non sarebbe male se la gratitudine di una città si manifestasse ben oltre il momento del tripudio per coltivare con amore un entusiasmo che non potrà finire fino a che sarà sentito come patrimonio comune.

Luciano Bertocchi

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